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Attraversamenti pedonali palermitani vs Scale mobili milanesi

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Dopo anni di osservazione arrivai ad elaborare la teoria dell’attraversamento pedonale che distingue il palermitano in sede a fuori sede. Egli disegna con passo lento e felpato una traiettoria assai raramente ortogonale alla direzione della strada, ma piuttosto una diagonale, anzi, per essere precisi, una curva iperbolica con asintoto tendente alla linea del marciapiede di destinazione. La ragione credo sia legata all’obiettivo più o meno inconscio di minimizzare il numero di passi che portano alla destinazione finale. Infatti, come il vecchio zio Pitagora ci insegna, la via per l’ipotenusa è più breve di quella della somma dei cateti. Le traiettorie diventano sempre più imprevedibili e fantasiose in corrispondenza degli incroci. Insomma, a Palermo si tende a minimizzare il numero di passi e cioè il lavoro, la fatica.

Ora veniamo ai milanesi. Essendo residente nel capoluogo lombardo non ho potuto fare a meno di osservare una curiosa prassi seguita in tutte le scale mobili della città. In metro, in stazione, negli aeroporti, nei centri commerciali.

E’ davvero curioso il rapporto tra il milanese e questo dispositivo progettato per il trasporto rapido da un piano all’altro, fatto di gradini metallici che collegano trasversalmente due catene mantenute in tensione dalle ruote dentate di testa, che, azionate da un motore elettrico, provvedono al loro trascinamento.

In particolare nelle stazioni della metro, com’è logico che sia, al passeggero vengono offerte due possibilità. La scala normale ampia e spaziosa o la scala mobile dalle dimensioni standard, dove a mala pena ci stanno due persone affiancate. Chi imbocca la scala mobile in salita deve attenersi a una regola non scritta (in nessuna parte del mondo). Se intende stare fermo e “bivaccare” fino a destinazione deve tenersi sulla destra, lasciando la precedenza a coloro, e cioè i più, i quali salgono i gradini con passo svelto e deciso. Non tenere la destra è considerato un atteggiamento provocatorio e deprecabile, perché volto a rallentare il percorso dei passeggeri sottostanti, facendo loro perdere preziosissimi secondi di vita.

A questo punto viene da chiedersi perché il milanese di fretta e dotato di vigore fisico non prenda le scale normali facendo i gradini a tre a tre, evitando così di sollecitare con i suoi saltelli i delicati ingranaggi meccanici delle scale mobili. Probabilmente perché, pur non risparmiandosi nella performance atletica, non intende rinunciare al vantaggio competitivo offerto dalla scala mobile. Nella salita si possono risparmiare fino a una decina di gradini, ma soprattutto  una buona manciata di secondi! Insomma il milanese, a mio modo di vedere, minimizza il tempo.

Ricapitolando, ipotizzando che le mie serissime teorie, basate su attentissime osservazioni e rigoroso metodo galileiano, siano vere, il palermitano minimizza il lavoro, e cerca quindi la soluzione più efficace per arrivare all’obbiettivo, mentre il milanese minimizza il tempo cercando la soluzione più efficiente.

Mi spingo dunque verso la conclusione, e cioè che la fusione tra l’inclinazione all’efficacia meridionale e l’efficiente pragmatismo nordico abbiano fatto di Milano una delle principali capitali economiche e culturali del mondo. Milano, volente o nolente, nei decenni, ha dovuto modificare la sua natura e fondere in sè la mentalità del sud, inserendola all’interno di binari di efficienza.

Si potrebbe ipotizzare che se Palermo avesse, o si desse, la stessa opportunità di includere in sé il pragmatismo nordico, mantenendo le sue specificità uniche, ne trarrebbe dei grandi benefici. Forse ci sarebbero delle scale mobili in diagonale, ma verrebbero da tutto il mondo per ammirarle. L’eventualità non è così remota, visto che in occasione del salone del mobile, c’è gente che attraversa due oceani per venire a Milano e ammirare primizie del design quali sofa foderati di uova o spuntoni di fico d’india, tazze e utensili vari fatti con la merda (non è uno scherzo, anzi, il museo della merda ha ricevuto un premio speciale nel Salone 2016) e totem imperscrutabili di ogni genere.

P.S. Le teorie qui esposte sono il passatempo di un frequentatore di metro e non intendono ledere la dignità di tutti quei raffinati antropologi siciliani, i quali sentendosi colpiti nell’orgoglio (Dio solo sa per quale motivo) nutrissero perciò risentimento nei confronti del sottoscritto.


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